La falsa modalità in incognito crea problemi a Google

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Grane per Google che dovrà cancellare tonnellate di informazioni acquisite nonostante la modalità in incognito di Google Chrome.

A quanto pare, la modalità incognito utilizzata da milioni di persone non era così privata come annunciato, tanto da aver scatenato una class action e una multa per l’azienda.

Le accuse di violazione della privacy

L’azienda tecnologica è stata accusata di tracciare milioni di utenti statunitensi anche quando navigavano utilizzando la modalità Incognito.

Questa pratica ha suscitato una forte reazione da parte dei consumatori, che si sentivano ingannati nella loro percezione di navigazione privata.

L’accusa sostiene che Google avesse il potere di raccogliere dettagli intimi sulla vita e gli interessi degli individui, utilizzando tali informazioni per fini pubblicitari mirati.

Email interne rivelano la colpevolezza della compagnia

Le prove presentate durante il processo includono email interne di Google che dimostrano la consapevolezza interna dell’azienda sul fatto che la modalità Incognito non offriva una vera privacy.

Una email inviata dalla responsabile del marketing Lorraine Twohill all’amministratore delegato Sundar Pichai ha rivelato che la società era consapevole dei limiti della modalità Incognito e del linguaggio ambiguo utilizzato per promuoverla.

Cosa cambia adesso

Un accordo proposto prevede che Google debba cancellare un’enorme quantità di dati acquisiti durante la modalità Incognito e bloccare di default i cookie di tracciamento di terze parti per i prossimi cinque anni.

Se l’accordo verrà approvato dalla giudice Yvonne Gonzalez Rogers, Google eviterà il processo nella causa collettiva.

Ancora una volta il web e i suoi grandi attori si dimostrano meno affidabili del previsto. Centralizzazione e grandi aziende speculative mettono a rischio la privacy degli utenti, che la barattano in cambio di servizi gratuiti.

La sfida per un web trasparente è ancora in atto, la decentralizzazione, ancora poco sviluppata, potrebbe essere l’unica risposta accettabile in questo contesto. Per il momento continua la sfida legale tra colossi del web e garanti della privacy delle diverse nazioni.

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